domenica 2 novembre 2014

Renzi con le sue teorie sull'articolo 18....Riporterà allo schiavismo!

Un sinonimo di schiavo, omesso dal gergo comune in quanto non conforme alla nostra visione
ugualitaria da benpensanti occidentali, è il termine ierodulia, che deriva dal connubio tra le parole greche “ieròs” e “doulos”, ossia “sacro” e “servizio”

Nelle Polis della Magna Grecia, gli schiavi –  che sarebbe meglio chiamare “ Aiutanti sacri” – svolgevano le mansioni più disparate e godevano di diversi tipi di trattamento, da quello più brutale fino a quello più onorevole, tale da rendere lo schiavo in tutto e per tutto pari ad un qualsiasi altro membro della famiglia.

Purtroppo, in molti pativano le pene dell’abuso di potere da parte del padrone ed erano costretti a subire sevizie sessuali – legittimate con la scusa del far sacrificio agli dèi – tali che oggi farebbero inorridire anche le più disinibite meretrici. Eppure, presso i ceti abbienti, nelle dimore delle famiglie più virtuose, la schiavitù perdeva questo connotato tragico per  sublimarsi in un rapporto di scambio arricchente sia per il servo che per il padrone.
I poemi omerici, com’è sottolineato nel testo “Marxismo e società Antica”, edito da Feltrinelli e curato da Mario Vegetti, già consigliavano lo schiavismo al fine di allietare la vita del  cittadino. Lo schiavo, in genere un prigioniero fenicio, se si mostrava collaborativo poteva anche assumere un ruolo rilevante all’interno della famiglia stessa,ed in un qualche modo, diventarne membro.
Considerando il fatto che oramai i nuclei famigliari possono essere composti da due genitori dello stesso sesso ed un bambino adottato, questo inglobare lo ierodulo all’interno della famiglia – in un rapporto in bilico tra il figlio ed il genitore, il precettore ed il maggiordomo, la putzfrau e la balia – non deve essere motivo di stupore.

Anche in “opere e giorni” Esiodo illustra dei consigli pratici per mettere in luce il modo migliore di trattare gli schiavi , ed anche Senofonte se ne occupa. Quindi, come è deducibile, la schiavitù era gradita ed apprezzata anche dalle persone colte, democratiche e ben pensanti, e non era solo appannaggio di pervertiti estremisti, come oggi si potrebbe pensare. E persino Platone, che ha a lungo riflettutto sulla Polis e sull’Oikos, non è mai giunto a criticare la schiavitù.
In Aristotele l’elogio della servitù sacra è radicale: Secondo il filosofo di Stagira, infatti, come uomo e donna sono ontologicamente differenti, anche tra gli uomini portati a comandare e gli uomini inclini a servire la differenza è intrinseca e naturale: Aristotele, in “Politica I”, capitoli 4-5, afferma che “ Comandare ed essere comandato non solo sono tra le cose necessarie, ma anzi tra le giovevoli, e certi esseri, subito dalla nascita, sono distinti, parte a essere comandati, parte a comandare. [...] Ora gli stessi rapporti esistono tra gli uomini e gli altri animali: gli animali domestici sono per natura migliori dei selvatici e a questi tutti è giovevole essere soggetti all’uomo, perché in tal modo hanno la loro sicurezza.”
Attualmente parlare di schiavitù può apparire aberrante, perchè nell’immaginario collettivo si
associa tale parola al concetto di barbaro maltrattamento. Nel film Amistad, in sui i servi neri erano tenuti in catene, venivano frustati fino alla morte dai padroni tiranni, è presentato un esempio orribile di schiavitù, che non ha nulla a che vedere col concetto di baratto dignitoso tra datore di lavoro ed alloggio e servitore che sto proponendo. Se si pensa al modo increscioso con cui sono schiavizzate e seviziate le donne presso ai paesi islamici, non ci si può che affermare totalmente avversi alla schiavitù. Ma questa visione dogmatica e brutale avvilisce il nobile concetto di apportare servizi sacri che era la schiavitù nella Polis greca, intesa nel senso aulico del termine, che ancora nel 1800 era apprezzata ed esortata persino da Hegel.

Constatando che sempre più ditte o privati assumono lavoratori in nero (sotto)pagandoli l’aberrante cifra di cinque euro all’ora, facendo guadagnare loro complessivamente anche meno di 700 euro al mese, pensare alla schiavitù, come baratto diretto tra prestazione e servizi, non appare più così fuori luogo. Anzi: presupponendo che il padrone garantisca al servo vitto, alloggio, tasse, cassa malati, medicine ecc, quest’ultimo godrebbe certamente di più benefici rispetto sottopagato e sfruttato da un datore di lavoro tirannico.
La schiavitù, se venisse istituzionalizzata, permetterebbe di arginare il grave problema dei disoccupati italiani che, trovandosi da un giorno all’altro senza lavoro, si vedono sfrattati e  costretti a vivere per strada chiedendo l’elemosina. Per un libero cittadino Italiano è certamente più vergognoso mendicare in strada e dormire in un sacco a pelo che venir alloggiato nella casa di un conoscente come precettore privato, baby sitter, maggiordomo, giardiniere, cuoco o quant’altro… a tempo pieno. Mediante il ritorno ad una schiavitù inter pares, in cui la famiglia costruisce con lo schiavo un rapporto di lavoro ed affetto, si potrebbe arginare il gravissimo problema dei connazionali senza tetto.
Ma, per sradicare la piaga del razzismo e del classismo che potrebbe nascere da un’istituzione del genere, è fondamentale che il padrone e lo schiavo appartengano alla stessa etnia e che, soprattutto, lo stato non si occupi di salariare il lavoro dello schiavo presso al cittadino. O, ancora peggio, di salariare il padrone… nel detenere uno schiavo.
La recente proposta del governo di pagare 900€ al mese ai cittadini italiani che decidono di prendersi in casa un rifugiato di guerra è estremente pericolosa, in quanto potrebbe degenerare non in schiavismo illuminato, come quello da noi proposto, bensì, in mero sfruttamento ed abuso: il padrone , assumendo in casa a tempo pieno una persona di cui si fida e con cui instaurerà un rapporto privilegiato, dev’essere ripagato con le prestazioni lavorative dello stesso servo e non coi soldi pubblici.
Se qualcuno avesse voglia di portarsi a casa un clandestino per pura filantropia, che lo faccia pure. Ma che lo stato paghi per un’azione di volontariato che dovrebbe essere altruistica e d’amore gratuito , non ha senso.
Chi è disposto , per amore gratuito a portarsi in casa un povero è un santo e non deve  chiedere soldi in cambio. Chi invece lo fa perchè appunto ha bisogno del servizio di uno schiavo, deve essere disposto a prendersi carico di tutte le spese che lo riguardano.
È per questo che , dopo aver confermato che presso le Polis greche la ierodulia, la sacra servitù, fosse apprezzata dai grandi filosofi, posso concludere dicendo che si, io sono a favore della schiavitù inter pares. Inoltre, uno schiavo in casa permetterebbe ai genitori di occuparsi di meno delle faccende domestiche ed occuparsi di più dei bambini, e soprattutto, di riposarsi meglio dopo al lavoro e guadagnare più tempo da investire in attività culturali, ricreative ed educative. L’uomo libero ha bisogno di svago, ed uno schiavo permetterebbe, aristotelicamente parlando, di guadagnare più tempo libero da consacrare alla famiglia ed ad altre utili attività.

Evidentemente un tema così delicato va sollevato con cautela e sono certa che in molti, senza aver analizzato a fondo tali dinamiche, mi criticheranno aspramente. Ma io esorto ad una riflessione: guardate per strada. Osservate i vostri anziani compatrioti che frugano nella spazzatura o gli Italiani disperati che non possono più neanche pagarsi le cure mediche basilari. Non sarebbero forse più felici se potessero prestare servizio continuato, in cambio del vitto e dell’alloggio, presso ad una famiglia?
Liliane Tami

http://iltalebano.com/2014/10/27/la-soluzione-contro-la-disoccupazione-schiavitu/

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