lunedì 22 settembre 2014

Elogio alle uniformi scolastiche

La divisa scolastica: Affetto e libertà


Fin dalle ere più remote della storia l’uomo  ha sempre mostrato il suo impegno per dare agli abiti, oltre che al valore estetico, un valore simbolico.
Le incisioni rupestri ritrovate nelle grotte preistoriche ed i video clip di Lady Gaga hanno una cosa in comune: Mostrano lo stretto rapporto che vi è tra il vestire e la propria posizione sociale e/o spirituale.

 Gli antichi Celti Leponzi , della regione Insubrica, amavano adornare il proprio  corpo con simboli celesti ed indossavano elmi dalle forme peculiari per caratterizzare la propria identità, esattamente come oggi certi giovani ragazzi amano farsi define “ Punk” “ intellettuali” “ Hipster” “ metallari” “ Skin heads” in virtù di un particolare modo di vestirsi. Negli adolescenti un segno d’appartenenza ad una determinata “filosofia” di vita può essere mostrata appunto portando creste o vestendosi con abiti  che ricalcano lo stile dei propri idoli musicali o politici, o, al contrario, facendo apposta ad indossare abiti discreti e semplici che contraddistinguono dall’orgia di colori che è la moda attuale.

Negli adulti il bisogno di tradurre le proprie posizioni in simboli vestiari od orpelli viene mantenuto: Un piccolo crocefisso al collo, una cravatta di marca,  le scarpe da basket o una cintura con delle edelweiss sono tutti simboli con cui un individuo afferma , seppur in modo minimo, il proprio IO  mediante la ricerca estetica .
La divisa dei poliziotti,il foulard degli scout, il velo delle suore e le tute sportive dei calciatori famosi, portati con orgoglio, sono uno strumento, anche un po’ ludico, tramite cui viene affermata drasticamente una propria scelta di vita e l’appartenenza ad un determinato gruppo. Allo stesso modo, anche la divisa scolastica può essere uno strumento con cui rafforzare , anche simbolicamente, la volontà nel concludere al meglio delle proprie facoltà la scuola frequentata.

Per i ragazzi, in particolar modo quelli delle scuole medie, indossare un'uniforme – col logo della propria sede ed il pin della propria classe- sarebbe davvero una bella opportunità per potersi contraddistinguere dagli altri babbani“ Che non sanno cosa vuol dire la fatica di studiare in quella scuola”.  Tramite la divisa scolastica è possibile affermare con determinazione , per  8 ore al giorno, la propria identità pubblica. Che poi nel privato i ragazzi amino indossare gli anfibi con la punta di ferro o le scarpe col tacco leopardate,  le bretelle o le minigonne, le t-shirt  colorate o le camice bon-ton ,  le felpe fluo o le gonne nere ben venga: La creatività dei giovani è sempre apprezzata ed, entro ai limiti dell’igiene , dell’amor proprio e della decenza, va anche incoraggiata.

L’idea di adottare un simbolo con cui contraddistinguere i nostri ragazzi nelle scuole pubbliche sarebbe, a parer mio,  davvero un ottimo modo per rafforzare il legame affettivo all’interno delle classi e delle singoli sedi. Inoltre l’adottare un abito identitario, come nel caso dello scoutismo, che in Ticino ha grande popolarità, verrebbe vissuto dai giovani intelligenti in modo in modo ludico, giocoso ed entusiasta, perchè non va a minare quella che è la vita privata degli individui e perchè darebbe anche la bellissima opportunità...di far prevalere la sostanza di ognuno sulla quella che invece è la forma. La divisa, oltre che un ruolo motivante ed identitario ed un’ottimo mezzo con cui apprendere l’ordine e la pulizia, sarebbe anche un’ottimo strumento con cui arginare la piaga del bullismo.

Quante volte accade, purtroppo, che un ragazzino solo perchè in grado di vestirsi più figo degli altri riesce per questo a conquistare un posto da leader in una classe? La divisa costringerebbe tutti a perdere il potere “estetico” che giocano sugli altri, costringendo poi i “ bulletti” ad imporsi sui compagni non più con lo stile del vestiario bensì mediante l’intelletto e le idee. In ogni caso, un leader carismatico, con o senza divisa, non perderebbe il suo statuto da capoclasse ed allo stesso modo chi è sicuro delle proprie posizioni e del proprio stile di vita non lascerà dipendere da due pezzi di stoffa la propria personalità. Quindi, chi maggiormente si lamenterà del dovere indossare una divisa, saranno proprio i ragazzi più deboli ed insicuri che avranno paura di veder svanire la propria persona dietro ad un simbolo.

Al fine quindi di promuovere la libertà di espressione dei ragazzi, mediante canali non solamente estetici,  si potrebbe pensare di rendere obbligatorio l’uso delle divise nelle scuole elementari ed in quelle medie.

domenica 14 settembre 2014

I preti posson andare a puttane?

Il fatto che i preti debbano essere celibi non è un dogma della chiesa.
Già nella Lettera ai Corinti l’apostolo Paolo si rese conto che  la compagnia di una donna non esoneri gli uomini dal farsi portavoce della lieta novella del Signore, benchè comunque la sconsigliasse.

 I primi preti infatti potevano sposarsi,  ma fu il Papa Gregorio VII, tra il 1073 e il 1085, a vietar loro il matrimonio. Troppo spesso accadeva che i sacerdoti lasciassero in eredità i loro beni clericali ai figli, rischiando così di impoverire tutta l’istituzione della Chiesa. Quindi il celibato dei preti è stato imposto più per una questione d’amministrazione strategica che religiosa.
 Non a caso, Don Antonio Sciortino, in un articolo apparso su Famiglia Cristiana, scrisse che “Nella Chiesa occidentale il celibato si è affermato più per ragioni pastorali o di opportunità, che per ragioni teologiche e dottrinali.”
Insomma, quando il prete riceve il sacerdozio fa’semplicemente la promessa di non sposarsi – essendo già “ Sposato con Cristo”- ma non per questo è tenuto a reprimere gli istinti d’amore più naturali e spontanei del creato.

Il prete svolge una carica pubblica all’interno dell’apparato clericale, quindi la sua vita privata- nel limite della decenza- non interferisce con la sua vocazione. Infatti i sacerdoti  fanno promessa di obbedienza al vescovo ed al celibato,  ma non sono tenuti a far voto di castità. I frati e le suore, invece, vivono in comunità, seguono lo stile di vita caratteristico del loro ordine ( canossiani, francescani, benedettini, domenicani...) e devono emettere i voti di castità,povertà ed obbedienza.

Attualmente molti sacerdoti sono rattristati dal fatto che lo svolgere il loro incarico li privi della felicità di diventare papà. Quest’estate l’'associazione dei sacerdoti lavoratori sposati ha rilanciat
o le tesi di Juan José Tamayo, Docente presso l’Università Carlos III di Madrid, in cui sono esposti le ragioni che sostengono la compatibilità tra il sacro uffizio ed il matrimonio. Non è da escludere che in futuro, vista la carenza di vocazioni, la chiesa possa togliere ai sacerdoti l’obbligo di celibato.
In conclusione, si può quindi affermare che si,  potenzialmente un prete può andare con le prostitute. In certi casi sono proprio i superiori a dire ai giovani preti di farlo, in quanto è meglio sperperare il proprio piacere con estranee piuttosto che rischiare di innamorarsi di una sola donna e voler poi lasciare la propria carica per sposarsi.

Essendo l’atto amoroso qualcosa di perfettamente naturale una repressione totale risulta pressocchè impossibile anche per i preti più allenati. Pur senza addentrarsi nella teologia di Abelardo non è difficile comprendere quanto già il semplice acconsentire alle proprie inclinazioni sia un motivo di forte senso di colpa.

Quindi, benchè abbiano il diritto di andare con le prostitute, per una semplice questione di coerenza ed astinenza dal peccato tendono naturalmente ad evitarle. 
Una sessualità contenuta, serena, e condivisa con donne verso cui si nutre affetto può per il sacerdote non solo essere un semplice sfogo carnale, ma può anche diventare una prezioso strumento con cui compiere una ricerca spirituale e mistica dell’estasi tramite il principale degli insegnamenti di Cristo, ossia l’Amore.

L'atto sessuale , banalizzato da molti come semplice scambio di fluidi e di piacere, comprende un universo fatto di intrecci di relazioni umane, amicizia, sentimenti, passioni, dolori  e sacrifici che, se gestiti con consapevolezza, gentilezza e devozione, possono render sacro ciò che superficialmente par essere peccato.

Liliane Tami <3

venerdì 12 settembre 2014

Se va bene il velo va bene anche lo scolapasta

Ecco la lettera che Liliane, una ragazza ticinese, vuole inviare alle autorità, dopo che le è stato rifiutato di utilizzare una foto con lo scolapasta in testa, essendo lei di religione pastafari, per la sua carta d’identità:

Egregi signori, quest’oggi mi sono recata presso allo sportello di Lugano, in Via Balestra, per fare una nuova carta d’identità.
Io sono una giovane studentessa di filosofia che, vivendo in un paese fondato sulla democrazia e sul principio secondo cui “ la legge è uguale per tutti”, ho il diritto di pretendere di essere trattata al pari degli altri cittadini. Recentemente Berna che affermato che è possibile fare le fotografie dei documenti di identità indossando un copricapo sulla testa in virtù di una fede religiosa. Io mi sono presentata presso i vostri operatori con uno scolapasta di colore giallo sul capo, ma non mi è stato permesso fare la fotografia per il documento. Non capisco perchè la mia fede religiosa sia trattata in modo differente rispetto a chi segue il Sacro Corano e può permettersi di indossare il velo nelle fotografie.
Io, che sono fermamente convinta che il dono più bello datoci da Dio sia il Libero Arbitrio, ho deciso di aderire alla religione del Pastafarianesimo. Tale dottrina, nata negli ultimi decenni, affonda le proprie radici nell’illuminismo e vuole essere un elogio all’Umana Dignità data dalla Ratio. Come teorizzava il celebre filosofo Betrand Russel , avvalendosi del celebre “ So di non sapere “ Socratico, l’unica cosa in cui possiamo aver fede è la consapevolezza l’indimostrabilità del’’esistenza del Signore. Perciò, a detta sua, Dio potrebbe anche essere una teiera rosa galleggiante nello spazio. In virtù dell’indescrivibilità di Dio, rifacendomi alla teologia negativa tanto cara a St.Agostino, ne elogio l’indicibilità e la Magnificenza raffigurandomelo come uno mostro di spaghetti volanti con polpette. In virtù della mia fede più cieca nel Libero Pensiero da oramai un anno e mezzo ho deciso di aderire seriamente al pastafarienesimo facendomi chiamare “ Suora” ed iniziando a seguire dei corsi di teologia presso le suore Canossiane di Pavia, città in cui seguo con ottimi risultati la facoltà di lettere e Filosofia.
Attualmente indosso uno scolapasta di colore giallo perchè questa particolare graduazione cromatica( Citrinitas) nell’antica tradizione ermetica rappresenta la fase di sublimazione dell’Essere che da Albedo diviene Rubedo, all’interno dell’allegorico forno Athanor, incorporato dal nostro Corpo. In futuro, quando avrò raggiunto la giusta Saggezza Interiore, potrò permettermi di indossarlo di colore Rosso al fine di mostrare al mondo il mio grado. La prego di non ridere di queste mie credenze, perchè altrimenti sarebbe costretto a ridere anche di Iblis, il demonio nemico di Hallà che, a detta di mistici medioevali e sufisti del calibro di Ibn Arabi, potrebbe anche essere un Jiin proveniente da altri pianeti.
Nel 2011 Niko Alm ha vuto il diritto di indossare il copricapo sacro sulla foto della patente, e anche nella Repubblica cieca Likaks Novi l’ha con orgoglio indossato per fare la fotografia dei documenti ufficiali. Eddie Castillo in Texas ha avuto il diritto di manifestare la sua fede religiosa in questo modo sulla testa quindi io non vedo perchè qui in Svizzera non si potrebbe. Per questo, io chiedo di poter essere trattata esattamente come gli altri cittadini di fedi differenti. Quindi anche io esigo esser immortalata con il sacro copricapo oppure bisogna impedire a tutti di avere qualsiasi cosa in testa.

mercoledì 10 settembre 2014

Armi di distruzioni di massa: Tragedia se in mano ai terroristi

L’Iran è quella scomoda giuntura su cui appoggiano, il Golfo, l’Asia Centrale e la Russia, ed è per questo che nei delicati rapporti geo-politici  attuali gioca un ruolo fondamentale. Inoltre il paese si trova a dover governare quattro conflitti in simultanea: Il litigio Israelo-Palestinese, la diatriba con gli USA, lo scisma con gli sciiti iracheni ( giudicati un’eresia) ed il difficoltoso rapporto con i reduci talebani dell’Afghanistan.
Il governo di Teheran, nonostante il suo ruolo centrale, par però non esser intenzionato a collaborare con nessuno: infatti il 20 gennaio scorso è entrato il vigore il programma che vieta uno scambio di materiale nucleare tra le Nazioni Uniti e l’Iran.  Inoltre questo paese, che non nascone il suo amore per Isis, ha  una particolare passione per tutti movimenti estremisti, non a caso ha appoggiato la Hezbollah in Libano ed ha fornito le Armi ad Hamas a Gaza.
A differenza delle altre nazioni aventi testate nucleari l’Iran è però deciso a non svelare a nessuno le cifre esatte del suo armamentario, al fine di lasciare il resto del mondo in una condizione di incertezza e paura. Grazie alle tecnologie nord-coreane e  al supporto dei tecnici russi l’Iran può vantarsi di un arsenale non male. Il pubblico ministero iraniano ha affermato che  il paese possiede missili Shahab 3 ( fino a 1500 Km di gittata)  basato sulla tecnologia del coreano Nodong. Ma non è stato reso pubblico nulla di più. Recentemente l’ex presidente Rafsanjan ha annunciato di essere entrato in posso di un missile di gittata di 2 mila km, quindi in grado di colpire l’europa sud-orientale. I servizi segreti americani temono che l’Iran attualmente stia progettando degli shahab 5 ( medio raggio), degli Shahab 6 ( lungo raggio) e dei Koser, missili con gittate intercontinentali ( Icbm).
Per anni l’Europa, essendo stata l’acquirente principale delle ricchezze petrolifere dell’Iran, non ha esercitato pressioni su Teheran per ricevere informazioni a riguardo dell’arsenale bellico. Ma , in un clima di tensione simile, sia l’Aiea che l’ONU pretendono di ricevere una lista precisa degli armamenti nucleari iraniani, che però si rifiuta di dare.
Gianluca Ansalone, esperto di strategia e relazioni internazionali, sostiene che benchè il governo Iraniano molto probabilmente possieda armi nucleari in grado di far vere e proprie catastrofi difficilmente le farà detonare. In un conflitto simmetrico tra nazioni il rischio di un’attacco nucleare è pressocchè nullo. Ciò che più terrorizza va aldilà della guerra tra eserciti e non tiene in considerazione né l’economia né la politica: il terrorismo.
I governi, mossi da interessi strategici e finanziari devono operare con una politica moderata, soprattutto oggi in cui tutti gli stati possiedono efficientissime armi di distruzione di massa.  Il vero pericolo di questa “ terza guerra mondiale “ è la sua forma non convenzionale, chiamata dagli esperti “ conflitto di quarta generazione”. Tali guerre, in cui  i militari in divisa sono  sostituiti dai cittadini fanatici  armati, non seguono i regolari giochi strategici delle nazioni e, come nel caso dell’Isil auto-proclamatosi nazione, non tengono nemmeno più in considerazione i confini geografici e terrestri degli gli stati. Quindi, che il governo Iraniano possieda o meno un armamento nucleare poco importa: Ciò che conta è che una tale forza distruttrice non cada mai nelle mani degli estremisti islamici, non più in guerra per un calcolo politico ma per mero fanatismo.
Liliane Tami
http://www.mattinonline.ch/armi-distruzione-massa-in-iran-innocue-finche-in-mano-governo/ 

Jihadisti pentiti

Forse lasciare la Gran Bretagna per andare in guerra in Siria, per combattere il regime di Assad, non è stata una buona idea. Su circa cinquecento combattenti volontari, com’è emerso da un’inchiesta condotta dal “Times”, addirittura un quinto vorrebbe tornare a casa. Già 260 dei guerriglieri sono tornati in Inghilterra e quasi 50 sono in attesa di un processo.
Rivolgendosi all’International Centre for Study of Radicalisation and Political Violence (ICSR) del King’s College di Londra un portavoce dei giovani volontari Isis ha detto che si, vorrebbero tornare, ma che per paura di finire in carcere sarebbero comunque disposti a restare a combattere al fronte. Neumann, direttore del centro, ha annunciato che per questi estremisti pentiti sono previsti circa trent’anni di carcere.
Il vero problema è che le guerre oramai si combattono più con l’informazione che con gli AK-47: chi quindi, assicura che questi militari pentiti non vengano qui a perpetuare la loro battaglia a parole?
Calcolando che più di tremila occidentali sono partiti per sostenere i ribelli jihadisti in Siria, di cui un terzo francesi, chi non garantisce che il loro ritorno in patria non sia altro che una scusa per divulgare i loro ideali anche qui, raccogliendo proseliti?
Il Soufan Group ha dichiarato che attualmente vi sono circa 12 mila combattenti provenienti da 81 paesi diversi: se anche solo un quinto di questi soldati tornasse in patria per promuovere il modello di vita islamico, il danno che potrebbero provocare sarebbe immenso.
Liliane Tami http://www.mattinonline.ch/jihadisti-europei-vogliono-tornare-casa-pentimento-ce/

mercoledì 3 settembre 2014

La cioccolata si sta estinguendo

La cioccolata svizzera all’estero ha un valore semantico molto forte, e, per quanto ingenuo possa sembrare, è un simbolo che, al pari d’una bandiera o d’una croce, va difeso. Per il filosofo francese Derridà, sommo teorico della decostruzione, il simbolo è solo un mezzo che rimanda ad un altro concetto e può esser sostituito da qualsiasi altro grafema o oggetto. Ma la cioccolata , col suo esser dolce ma anche dura e decisa là dove serve, rischia l’estinzione, e non solo metaforicamente. Ed inoltre, con l’incombente egemonia di Bruxelles, se il popolo non si impegna ad esercitare il suo diritto alla sovranità, anche il “concetto fondamentale” del Paese rischierà di sciogliersi come una pralina al sole. È necessario salvare i simboli ed i contenuti per perpetuare la nostra esistenza.
Nel giro di vent’anni una tavoletta di cioccolata potrebbe costare dai 15 ai 30 franchi, e tra 50 anni potrebbe estinguersi del tutto. Dal 2006 al 2012 il prezzo del cioccolato è più che raddoppiato. Questa notizia sconvolgente è stata diffusa Cocoa Research Association, ma i media paiono tacere a riguardo. Di chi è la colpa? D’un sistema economico mondiale le cui basi sono prive di riguardo nei confronti dell’Uomo e dell’ambiente in cui vive. Infatti la pianta del cacao cresce solo a precise latitudini ed esclusivamente nel delicato ecosistema della foresta pluviale amazzonica, che sta venendo disboscata ad un ritmo allucinante. Ma la colpa non è solo del produttore: Complice della distruzione dei valori, complice d’una cattiva globalizzazione è anche il compratore. Infatti, molti cittadini svizzeri, anzichè comprare prodotti decenti, preferiscono favorire merce scadente a prezzo stracciato la cui provenienza è remota e non lascia la possibilità di informarsi sui metodi di produzione. Esistono inoltre grandi marchi, come quello della nutella (povere budella), che andrebbero evitati in favore di alternative migliori, proposte dalle cooperative locali. Ottime e celebri marche svizzere sono Alprose, con sede a Caslano, o al Cioccolata Stella, con sede a Giubiasco. Quando si fa’la spesa bisogna pensare a dove andranno i soldi: A favorire l’impresa del vicino di casa, o a ingrassare maiali già obesi dall’altra parte del mondo?
In Amazzonia i piccoli coltivatori di cacao lavorano come schiavi per le grosse industrie internazionali. Vengono pagati 80 centesimi al giorno(tra l’afa e le zanzare!), e diventano una facile preda per le multinazionali di Biogas, di soya e mais geneticamente modificato. Quando poi si rendono conto di esser sfruttati, saltano sulla prima nave che passa e vengono a colonizzare l’europa, illudendosi di trovare lavoro, che già scarseggia per noi. È un circolo vizioso. Insomma, è importante prestare attenzione ai prodotti che si comprano perchè, facendo scelte sbagliate, NOI ne determiniamo l’ estinzione o, peggio ancora, la loro inflazione su scala globale. Bisognerebbe cercare di comprare merce la cui provenienza è certificata da un marchio eco-compatibile e possibilmente a KM 0. Se noi svizzeri, che manco c’abbiam le piante di cacao, siamo riconosciuti in tutto il mondo (anche) per la cioccolata è perchè puntiamo alla qualità e non alla quantità. E dobbiamo continuare a far così, in tutti i settori, per evitare la spietata concorrenza dei colossi economici circostanti.
La Mars Inc., multinazionale che invece mira d una produzione quantitativa, desiderosa di conquistare un mondo comunista di compratori obesi e mediocri ha escogitato un piano geniale: Modificare geneticamente la pianta del cacao per farla sopravvivere in ambienti che le sarebbero per natura inadeguati e coltivare ovunque.
Sarebbe come veder spuntare noci di cocco sul San Gottardo. È una porcata! È innaturale far crescere piante in ambienti non loro. Inserire una palma tra gli abeti e pretendere che sia una cosa naturale è pura ipocrisia. Ma, se dirlo è una grande Lobby, Bruxelles o una multinazionale, tutti ci credono. Ogni essere vivente ha delle radici territoriali inviolabili e sacro sante. Eppure, in uno scenario economico-politico dominato da tiranni neo-maoisti, come la Coca-cola, che vogliono livellare tutte le preziose differenze culturali, ciò non viene detto.
Liliane Tami

http://www.mattinonline.ch/la-cioccolata-svizzera-si-sta-estinguendo/

La Svizzera vista da Nassim Taleb

SVIZZERA – Il nostro essere imprevedibili ha accresciuto la nostra capacità di adattamento alle situazioni più diverse, permettendoci di consolidarci e restare saldi nonostante lo sgretolamento economico di mezzo mondo
Cosa hanno in comune i fiammiferi, lo champagne, la penicillina ed il via­gra? Il fatto che siano stati inventati per caso.
Nassim Nicholas Taleb è un filosofo che ha dedicato la sua vita allo studio dei processi d’incertezza, ed è giunto alla conclusione che l’im­prevedibilità sia la miglior fonte di successo. In am­bito economico esistono tre differenti rapporti con la variabile aleatoria, che sono l’avversione, la neu­tralità e la propensione.
Nel libro qui recensito è dimostrato come, non solo nelle aziende, la propen­sione al rischio sia tendenzialmente più fruttuosa dell’avversione dei con­fronti dell’imprevisto.
Il suo saggio intitolato “Antifra­gile*- prosperare nel disordine” spiega come i migliori eventi del mondo, e della storia, siano (quasi) sempre frutto di fatti inaspettati. Il suo pensiero filosofico si basa su os­servazioni empiriche: I sistemi com­plessi sono per loro natura imprevedibili, e che perciò bisogna smetterla di voler controllare e pro­grammare tutto a tavolino. In natura nulla è ordinato e regolare. Anzi, ci mette in guardia: Un eccesso di rego­larità è malsano per ogni forma d’or­ganismo. Un ente, sia esso umano, animale, economico, burocratico o sociale non è una macchina, quindi non può essere soggiogato a norme ed imposizioni troppo strette.
Questo vale anche per il business delle aziende: Un buon imprenditore deve osare mettere in gioco più del massimo, per poter ottenere grandi ri­sultati. Se invece decide di operare in modo mo­derato la sua azienda forse non correrà rischi, ma sarà destinata al de­clino. Se il fiume non si butta dalle cascate è de­stinato a fermarsi e a di­ventare acquitrino paludoso. Tutto in natura deve evolvere, e correre il rischio dell’errore. E, d’altronde, l’adattamento darwiniano delle spe­cie non è altro che una conseguenza a piccoli errori genetici che si sono poi rivelati vantaggiosi….
Nella vita, sia nelle faccende di cuore, di politica che di lavoro, bisogna ac­cettare il fatto che tutto sia impreve­dibile, ed agire di conseguenza. Persino correndo il rischio di mo­strarsi decisi e temerari là dove gli altri si mostrano insicuri e timorosi. Chi è libero dalla malattia della rou­tine ed è abituato a gestire gli impre­visti anche in caso d’errore non si scoraggia, anzi: trova sempre nuove vie con cui rafforzarsi e prosperare.
Secondo Taleb una società che ha bisogno d’eroi è composta da co­nigli che hanno bisogno di qualcun altro per compensare la loro vigliac­cheria.
Già nel suo saggio “Il cigno nero” il filosofo del caso sostiene che im­porre costanza ad un organismo vivo è pura follia. Infatti Hitler, Stalin e la Merkel hanno consacrato la propria esistenza nel tentativo di omogeneiz­zare, inscatolare, regolare ed appiat­tire un pluri-organismo come la nazione o, peggio ancora, il conti­nente. L’ingenua mania delle sinistre per l’ordine ed il controllo è contro natura. Dato che la società umana è in assoluto il sistema più complesso esistente, pretendere azzerarne gli impulsi vitali, tarpando le ali alle ini­ziative più impreviste e disparate d’ogni regione e volendolo trattare come un apparecchio meccanico per­fettamente prevedibile, e non come un essere vivente, a lungo termine lo si farà fallire.
Il bambino cresciuto da genitori troppo apprensivi che l’­hanno voluto conformare agli altri, castrando la sua creatività in una campana di vetro, non lasciandolo mai giocare col fuoco e bocciandogli ogni sua iniziativa apparentemente è più sano ed equilibrato degli altri. Ma appena incontrerà un sasso sul suo sentiero vi inciamperà ferendosi gra­vemente e piangendo più del dovuto, non essendo abituato a correre, sal­tare e cadere. Meglio un po’ di inco­scienza e tante piccole sbucciature al ginocchio, anziché una quiete inna­turale che improvvisamente degenera in incidente mortale.
Nell’ultimo best-seller di Taleb, c’è un interessantissimo capitolo dedicato alla Svizzera, in cui l’accusa di essere irrazionale. È priva di un go­verno centrale, legalizza le armi, ha poche leggi, ha cantoni scoordinati, ha una minuscola banca centrale ed è soggetta a continue revisioni delle leggi per via dei referendum. A parere del teorico del caos sono proprio que­sti fattori, apparentemente rischiosi, che fanno del nostro paese il più “an­tifragile” del mondo. Il nostro essere imprevedibili ha accresciuto la nostra capacità di adattamento alle situa­zioni più diverse, permettendoci di consolidarci e restare saldi nonostante lo sgretolamento economico di mezzo mondo.

Proprio
 come una lot­teria anche la politica è soggetta a va­riabili casuali. E l’unico modo per vincere è osare mettersi in gioco, esattamente come fa l’economo pro­penso al rischio che decide di com­piere un’azione la cui conseguenza dipende da un elemento aleatorio, piuttosto che restare nella posizione statica in cui si trova. In politica la propensione al rischio è , nella mag­gior parte dei casi, vincente, cosa che già il Nano sapeva bene. Se avesse sempre agito in modo moderato e ti­moroso delle possibili conseguenze negative non avrebbe messo a repen­taglio la sua incolumità. Ma non avrebbe nemmeno rivoluzionato il nostro amato cantone e non ci avrebbe arricchito politicamente allo stesso modo. L’audacia è una strate­gia vincente, sia per i singoli che per le collettività. Prendiamo esempio!
Quindi, avvalendomi del diritto natu­rale all’azzardo, mi permetto di con­cludere dicendo che un Europa che ci impedisce di prendere i nostri ri­schi, facendoci ad esempio ripetere l’ultimo referendum, può solo andare a farsi fottere.

J. LILIANA TAMI 
STUDENTE IN FILOSOFIA
* Antifragile: neologismo coniato da Taleb. È il contrario di fragile, benchè non sia sinonimo di resistente. Un oggetto re­sistente resta immune alle percosse, ma ne resta inalterato. Un oggetto antifragile grazie ai colpi imprevisti ( cosiddetti “cigni neri”) accresce la sua forza e le sue potenzialità.


http://www.mattinonline.ch/la-mania-di-controllo-delle-sinistre-e-contro-la-natura-stessa-della-svizzera/

Per la Scozia libera- No all'Human centipede

The Human centipede è un film diretto da Tom Six che parla di uno scienziato pazzo che cuce assieme delle persone al fine di ottenere un unico mostro con tante gambe. Le vittime sono incatenate l’una all’altra in modo orizzontale, ossia hanno la bocca cucita all’ano di chi hanno di fronte. Quest’orribile e raccapricciante millepiedi, sintomo cinematografico d’una società ammorbata oramai satura di cattiva educazione e di orfana del pudore, è la metafora perfetta con cui rappresentare gli stati formati artificiosamente.
Garibaldi, dipinto coi capelli lunghi e l’elmetto per camuffare l’orecchio mozzato tipico dei criminali e dei balordi, con la sua perversa opera di unificazione d’Italia può esser paragonato allo scienziato sadico del film sopracitato. Usando la forza è riuscito a creare un mostro strisciante con tanti corpi cuciti l’uno all’altro ed uniti da un unico lunghissimo intestino di burocrazia. Ciò che viene ingoiato e digerito dalla prima testa, Roma, una volta espulso diventa cibo ed agonia per chi le sta appiccicato dietro.
Per fermare quest’obbrobrio bisogna munirsi di forbici e tagliare quei fili infetti che tengono uniti i brandelli di carne che compongono le “Nazioni”. Ed è ciò che sta , finalmente, per avvenire in Scozia. Forse, il fatto che Mary Shelley scrisse le avventure del Dottor Frankenstein proprio quando l’Inghilterra era oramai stata trasformata in un mostro, cucendosi con la Scozia, non è un caso.
La testa della Scozia è stata tessuta al culo dell’Inghilterra nel 1296, quando venne ingiustamente conquistata da Edoardo I d’Inghilterra. Nonostante i Guardiani di Scozia, che cercarono di mantenere l’autonomia del regno dal 1290, dopo la morte del Re Eirik II di Norvegia avvenuta quattro anni prima, nulla potè l’esercito scozzese contro gli archi lunghi usati degli Inglesi. L’impresa di conquista fu particolarmente vile perchè l’unica monarca in vita, Margrete, nipote di Alessandro III di Scozia, aveva appena 10 anni.
Ovviamente i Pitti, ossia i celti che parlavano gaelico, non avevano nessuna intenzione di sottostare ad un governo che non aveva votato, così la prima guerra spietata verso agli invasori inglesi. Sir William Wallace, grande condottiero ed eroe nazionale della Scozia, guidò la celebre battaglia di Stirling Bridge, che l’11 settembre 1297 sconfisse l’esercito inglese buttandolo giù da un ponte. Siccome il suo motto, “Pro Libertate!” non piaceva al re a Edoardo I d’Inghilterra venne fatto catturare e nel 1305 , a Glasgow, venne torturato, appeso e sbudellato. I cittadini, vedendone le interiora garrire al vento, a guisa d’una bandiera bianca,non persero però la voglia di sventolare la loro bandiera bianca e blu con la croce di St. Andrea. Infatti poi ci fu una seconda guerra, dal 1332 fino 1357, che si concluse in modo vittorioso con la vincita degli scozzesi.
Ma l’incubo non era ancora terminato: Nel 1542 l’Inghilterra impose la sua egemonia agli Irlandesi, e decise di prendersi la Scozia passando per vie diplomatiche. Così venne ipocritamente deciso di “cedere” l’intero regno della Gran Bretagna a Giacomo VI, re degli scozzesi ma figlio di Maria Stuart d’Inghilterra. In questo modo l’unificazione fu eseguita politicamente, ma a beffa del popolo.
Inglesi e scozzesi, oltre che parlar lingue diverse ed esser culturalmente differenti, erano pure incompatibili sul piano religioso. Nel XVI secolo in Scozia si professava il calvinismo, organizzatosi nella chiesa presbiteriana, quindi gli invasori inglesi dovettero imporre l’anglicanesimo con la spada. Oramai messo in ginocchio dalle guerre civili, il popolo scozzese non potè che arrendersi alla volontà dei sovrani.
Nel 1707 venne completata quella perversa operazione chirurgica d’unione di corpi diversi. Così si formò millepiedi con un’unica testa situata a Londra, dal nome “Regno Unito di Gran Bretagna”. Per fortuna nel 1999 i parlamentari scozzesi iniziarono a teorizzare un’ipotetica indipendenza e Donald Dewar, ministro degli affari scozzesi presso al parlamento nazionale, inaugurò il primo esecutivo autonomo del paese.
Il 18 settembre 2014, pochi giorni dopo l’anniversario della gloriosa battaglia di Stirling Bridge, grazie ad un patto tra il primo ministro scozzese Alex Salmond ed il premier britannico David Cameron, il popolo potrà finalmente votare per la sua indipendenza. Come gli abitanti dell’Ucraina il 16 marzo scorso votarono per la creazione di una repubblica autonoma di Crimea, anche questa volta il parere della maggioranza potrà prevalere sui capricci dei politici. Che l’indipendenza della Scozia possa esser d’esempio e, se qualche nazionalista si sentirà in dovere di versare sangue a Londra (come il Pravi Sektor ha fatto a Kiev) in favore dell’Human Centipede rappresentato dalla Corona Unita della Gran Bretagna, pace all’anima sua.
Come disse Thomas Jefferson, l’albero della libertà , per poter prosperare, a volte necessita d’esser annaffiato col sangue dei nazionalisti.
Liliane Tami  http://iltalebano.com/2014/09/03/the-human-centipede-la-perversa-storia-del-regno-unito-di-gran-bretagna/